Biodegradabilità e rinnovabilità sono entrambe priorità
Luglio 15, 2022 Green Economy Nessun commento

In questo articolo faremo chiarezza sulle diverse forme di biodegradabilità e vedremo che spesso biodegradabile non significa di provenienza biologica.

Le forme di degradazione dei materiali possono essere molto diverse in base agli ambienti in cui avvengono ed ai processi che impiegano.

Ad esempio:

  • la fotodegradazione si basa sull’azione dei raggi UV
  • l’ossidazione è causata dall’aggiunta di additivi chimici
  • la degradazione termica è prodotta dal calore
  • la degradazione meccanica è prodotta da forze meccaniche
  • la degradazione idrolitica sfrutta la reazione di idrolisi (scissione di composti in acqua)


Sono tutti processi che consentono la scissione di elementi naturali e sintetici ma non la loro mineralizzazione. Perché si verifichi la mineralizzazione dei composti è necessario il processo di biodegradazione.

La biodegradazione è un processo chimico che può avvenire su suolo ma anche in acqua e richiede la presenza di batteri che operano in determinate concentrazioni di ossigeno. Il processo prevede due fasi fondamentali:

  1. la scissione dei polimeri o depolimerizzazione
  2. la mineralizzazione, ovvero la conversione dei monomeri in anidride carbonica, acqua e biomassa


Come si misura la biodegradabilità?


Un prodotto, per essere definito biodegradabile, secondo normativa, deve decomporsi del 90% entro 6 mesi, questo valore deve essere verificato attraverso il metodo ISO 14855. Molti materiali attualmente in uso risultano biodegradabili ma il fattore determinante è la velocità di biodegradazione che può dipendere da diversi fattori come: le caratteristiche intrinseche del materiale stesso (additivi, flessibilità) o dalle condizioni di esposizione.
A questo proposito l’ OECD (Organization for Economic Cooperation and Development) ha elaborato dei parametri guida (metodo OECD 301) secondo cui: una sostanza a rapida biodegradabilità supera con successo il test OECD se dimostra una biodegradabilità superiore al 60% in 28 giorni.

La complessità dei processi di degradazione, dovuta alle caratteristiche proprie di ogni materiale, implica che nella progettazione di prodotti biodegradabili si debbano considerare diversi aspetti. Facciamo qualche esempio:

  • un materiale sintetico o naturale può degradarsi nel suolo, ma può non degradarsi totalmente se esposto al sole. Gli amidi, ad esempio, che sono polimeri naturali, ampiamente utilizzati per la produzione di bioplastiche, si degradano nel suolo ma restano intatti all’azione della luce.
  • I detergenti industriali, se rilasciati nelle acque, inquinano l’intero habitat. Da qui la necessità di introdurre detergenti biodegradabili. Un detergente biodegradabile tende a degradarsi nell’ambiente in circa 21 giorni (80%), ad una temperatura di 25 °C. Tuttavia, occorre considerare che queste condizioni sono facilmente ottenibili in ambienti controllati (es. depuratori) ma meno in ambienti non controllati (es. rilascio in mare).


Per questi motivi la biodegradabilità è oggetto di studio continuo, affinché, in caso di dispersione accidentale di un prodotto nell’ambiente, possa esserne garantito il completo riassorbimento.

Biodegradabile o compostabile?


“Compostabile” significa sempre biodegradabile. “Biodegradabile” non necessariamente significa compostabile (perché la biodegradazione può avere tempi più lunghi di quelli richiesti dal compostaggio).

Le plastiche compostabili, ad esempio, sono un sottoinsieme delle plastiche biodegradabili e si decompongono biologicamente alle condizioni di compostaggio entro il tempo relativamente breve di un ciclo di compostaggio. La norma EN 13432/2002 definisce le caratteristiche di un materiale “compostabile”.

Le plastiche biodegradabili possono derivare da risorse rinnovabili (biomassa, scarti/rifiuti organici) o da risorse non rinnovabili (fossili). In base alle materie prime principalmente impiegate possono essere classificate nei seguenti gruppi:

  • Plastiche derivate dall’amido
  • Plastiche basate su acido polilattico (PLA)
  • Plastiche basate su poliidrossialcanoati (PHB, PHA, PHBV, etc.)
  • Plastiche basate su poliesteri aromatici alifatici
  • Plastiche basate sulla cellulosa (cellophane)
  • Plastiche basate sulla lignina.


Bisogna specificare che la rinnovabilità o meno della materia prima non incide sulla biodegradabilità del prodotto finito ma risulta importante se si valuta l’intero ciclo di produzione. In questo senso le materie prime dovrebbero innanzitutto arrivare da una risorsa che sia continuamente rinnovabile. E, a fine vita, ogni prodotto dopo che è stato utilizzato deve diventare nutrimento, energia, materiale per qualcos’altro.

“Bioplastiche” e “plastiche biodegradabili” non sono sinonimi


I biopolimeri o bioplastiche (BP) comprendono:

  • polimeri estratti direttamente dalle biomasse e da materiali naturali (polisaccaridi, amido, proteine);
  • polimeri prodotti da monomeri bioderivati (esempio l’acido polilattico – PLA);
  • polimeri sintetizzati da microrganismi selvatici e geneticamente modificati (PHA) (Zhang et al., 2018).


I polimeri più facilmente reperibili sono quelli che ricadono nella prima categoria, quelli di origine naturale estratti da piante ed animali. Ad esempio, l’amido è un polimero naturale che si trova in alcuni frutti ed è composto da due tipi di polisaccaridi: amilasi e amilopectina (Orenia et al., 2018). Anche l’acetato di cellulosa, derivato dai rifiuti agricoli, può essere utilizzato come elemento biodegradabile nella produzione di imballaggi, contenitori, fibre e componenti in plastica.  

Le bioplastiche possono essere suddivise in tre gruppi:

  1. quelle a base biologica e non biodegradabili (Bio-PE, Bio-PET, Bio-PVC, Bio-PU) (Rujnić-Sokele e Pilipović, 2017);
  2. quelle a base biologica e biodegradabili (PHA, PHB, PLA) (Arrieta et al., 2014);
  3. quelle a base petrolchimica ma biodegradabili (PBS, PCL, PBAT) (Folino et al., 2020a, Folino et al., 2020b).


Attualmente le bioplastiche rappresentano meno dell’1% degli oltre 367 milioni di tonnellate (Mt) di plastica prodotti annualmente (World plastics production 2020, Plastics Europe, 2021). Tuttavia si stima che la capacità di produzione mondiale di bioplastiche aumenterà da circa 2,42 Mt del 2021 a circa 7,59 Mt nel 2026. Ciò significa che avrà un’incidenza di oltre il 2% sulla produzione mondiale annuale di plastica.

Produzione globale di bioplastica stimata al 2026

Source: World plastics production 2020, Plastics Europe, 2021


Biodegradabilità e rinnovabilità devono essere entrambe priorità


Continuare a ricercare e sviluppare prodotti biodegradabili è fondamentale ed è una priorità ma non è sufficiente. Occorre una logica rigenerativa nello sviluppo dei prodotti. È necessario guardare all’intero sistema di generazione, dalla rinnovabilità delle materie prime impiegate fino al fine vita del prodotto, per fornire materiali funzionali e performanti offrendo allo stesso tempo circolarità e impatti ambientali ridotti.


Bordel S., Börner R., Börner T., García-Depraect O., Lebrero R., Muñoza R., Santos-Beneit F., 2021, “Inspired by nature: Microbial production, degradation and valorization of biodegradable bioplastics for life-cycle-engineered products”, Biotechnology Advances, Vol 53, December 2021.
Abdul Ghani A., D.Moshood T., Hanafiah M., Kumar S., Mahmud F., Mohamad F., Nawanir G., 2022, “Green product innovation: A means towards achieving global sustainable product within biodegradable plastic industry”, Journal of Cleaner Production, Vol 363, 20 August 2022.
Pauli G. (2018), “Economia in 3D. L’intelligenza della natura”, Ed. Ambiente.


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Maria Francesca Di Blasio
Written by Maria Francesca Di Blasio