Garbage patches: le isole di plastica
Luglio 22, 2022 Attualità Nessun commento

Nei nostri oceani esistono accumuli di detriti plastici talmente tanto estesi da essere considerati vere e proprie isole di plastica, anche dette Garbage Patches.

Un esempio è la South Pacific Garbage Patch con un’estensione pari a 8 volte l’Italia e maggiore del Messico. Purtroppo, non è l’unica che troviamo nei nostri mari ed è per questo che occorre sensibilizzare l’opinione pubblica sulle Garbage Patches facendo prima un focus sulla plastica.

LA PLASTICA ALL’ORIGINE DELLE GARBAGE PATCHES


La plastica è definita dall’Unione Internazionale di Chimica Pura e Applicata (IUPAC) come: “materiale polimerico che può contenere sostanze finalizzate a migliorarne le proprietà o ridurne i costi”.

I polimeri sono macromolecole caratterizzate dalla ripetizione di un’unità base (monomero) che va a formare catene molto lunghe. A differenza dei polimeri naturali (macromolecole biologiche) che rappresentano i costituenti fondamentali degli organismi viventi, come i polisaccaridi, le proteine e gli acidi nucleici, quelli sintetici, come i polimeri plastici, sono macromolecole prodotte artificialmente attraverso reazioni chimiche di sintesi.

Nell’ultimo secolo la produzione di polimeri plastici si è fortemente sviluppata raggiungendo, nel 2019, l’ammontare di 368 milioni di tonnellate prodotte (Mt). I principali settori di utilizzo delle materie plastiche sono quelli degli imballaggi (39,6%), delle costruzioni (20,4%), automobilistico (9,6%), elettrico ed elettronico (6,2%), quelli relativi all’uso domestico, al tempo libero ed allo sport (4,1%) e all’agricoltura (3,4%). Esistono poi altri settori quali quelli dell’industria degli elettrodomestici, dell’arredamento e medicali (16,7%). Ponendo l’attenzione alle tipologie di polimeri plastici si può notare come il polipropilene (PP) risulti il più utilizzato (19,4%) (https://plasticseurope.org/wp-content/uploads/2021/09/Plastics_the_facts-WEB-2020_versionJun21_final.pdf).

Il grande successo della plastica nasce dalle sue caratteristiche chimico-fisiche che la rendono un materiale malleabile, flessibile, maneggevole e poco costoso. Purtroppo però, se da un lato queste sono grandi qualità commerciali, dall’altro la rendono resistente, durevole e quindi persistente in ambiente.

I problemi legati alla contaminazione da materiali plastici si presentano, non tanto quando queste vengono utilizzate, ma piuttosto nel momento in cui diventano rifiuto ed escono dalla catena di utilizzo. A partire dal 2015, sono stati generati circa 6300 Mt di rifiuti di plastica, circa il 9% dei quali è stato riciclato, il 12% è stato incenerito e il 79% è stato accumulato nelle discariche o nell’ambiente naturale. Se le attuali tendenze di produzione e gestione dei rifiuti continueranno, circa 12.000 Mt di rifiuti di plastica saranno accumulati in discarica o nell’ambiente naturale entro il 2050 (Geyer, 2017). I rifiuti plastici che contaminano gli ecosistemi naturali possono essere suddivisi a seconda delle loro dimensioni in:

  • Macroplastiche, >25 mm;
  • Mesoplastiche, 5 – 25 mm;
  • Microplastiche grandi, 1 – 5 mm;
  • Microplastiche piccole, 1 μm – 1 mm;
  • Nanoplastiche, 1 – 1.000 nm.


GARBAGE PATCHES: COSA SONO E COME SI FORMANO


Sebbene capire cosa sono le isole di plastica sia abbastanza intuitivo, la loro formazione può risultare più complessa.

Secondo studi effettuati dal WWF, ogni anno circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici vengono sversati negli oceani. Si calcola che l’80% della plastica presente in mare provenga da fonti terrestri, non solo dalle spiagge o dalle foci dei fiumi, ma anche dai marciapiedi e dalle discariche delle nostre città attraverso il sistema fognario e l’azione continua delle piogge (Geopop, 2022 – Great Pacific Garbage Patch, l’isola di plastica grande più della Francia).

Ma come si formano le Garbage Patches? Le correnti oceaniche superficiali, avendo un movimento rotatorio, creano grandi spirali in cui nel centro persiste una zona di acque calme dove i detriti vanno ad accumularsi. Qui rimangono intrappolati in vortici acquatici creando queste estese discariche di rifiuti galleggianti conosciute, appunto, come isole di plastica.

Garbage patches
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Questo tipo di inquinamento non si ferma alla superficie delle acque, bensì è diffuso per tutta la profondità sottostante, spesso fino ai fondali. Gli oceanografi e gli ecologisti stimano che il 70% dei rifiuti in mare affondi in profondità; ciò renderebbe la problematica molto più estesa di quanto già non si pensi. (National Geographic, Great Pacific Garbage Patch).

La più grande delle 5 Garbage Patch è la “Great Pacific Garbage Patch” che copre la maggior parte del Pacifico settentrionale, dal Canada, agli Stati Uniti, al Messico e attraverso l’oceano fino al Giappone e alla Cina, per un’estensione di 20 milioni di km quadrati. Qui troviamo circa 2.7 milioni di tonnellate di detriti galleggianti che continuano ad accumularsi dal 1945.

Le correnti superficiali dell’oceano Pacifico – foto credit: NOAA

Troviamo poi “Indian Ocean Gyre” che si trova nel sud dell’Oceano Indiano, si stima che sia composta da circa 10.000 particelle per km quadrato. Questa è alimentata da rifiuti provenienti da Indonesia, Thailandia, Malesia e Bangladesh.

La terza isola per estensione è la “South Pacific Garbage Patch” che si estende per 2.6 milioni di km quadrati tra Australia, Sud America e Antartide settentrionale.

Le altre due isole si trovano nell’Oceano Atlantico; la più grande è nella zona centro-settentrionale tra l’America sud-ovest e il nord Africa. La più piccola si trova invece nella parte meridionale tra il Brasile e il sud Africa.

Chiaramente, queste non sono vere e proprie isole calpestabili ma hanno una concentrazione di rifiuti così densa ed estesa da sembrare un’isola. Si pensi che al loro interno, secondo le stime del Programma ambientale delle Nazioni Unite 2006 (UNEP), per miglio nautico quadrato si trovano approssimativamente 46.000 pezzi.

L’IMPATTO DELLE GARBAGE PATCHES SULLA FLORA E SULLA FAUNA


Considerando che le isole sono costituite prevalentemente da micro- e nanoplastiche, il problema più evidente è che queste, mescolandosi al plancton (tutti quei piccoli microrganismi marini che si trovano alla base della catena trofica), vengono ingeriti da pesci, crostacei e altri animali risalendo la catena fino all’uomo.

Pensate che, ogni anno, milioni di uccelli e mammiferi marini, pesci e altre specie, vengono uccisi per ingestione o aggrovigliamento nella plastica (UNEP, Plastic Debris in the Ocean, 2011).

Altre problematiche rilevanti sono: il trasporto di specie aliene (specie animali o vegetali non autoctone) dai continenti; il rilascio di sostanze chimiche tossiche che si trovano come additivi sulle plastiche (come i PCB); lo spesso strato di plastica che agisce come filtro per aria e luce causando una diminuzione della fotosintesi e dell’ossigeno. Ciò rende gli oceani sempre più anossici mentre lo zooplancton, consumando alghe con un basso contenuto in carbonio, altera i livelli di CO2 in atmosfera.

COME NON AGGRAVARE LA SITUAZIONE?


Il problema della plastica riguarda sia la sua produzione, quindi l’estrazione e la lavorazione del petrolio, sia il suo smisurato e quotidiano utilizzo.

Esistono delle azioni più o meno drastiche per non aggravare la situazione tra cui:

  • Ridurre (se non addirittura abbandonare) l’uso della plastica e, in particolare, degli imballaggi plastici;
  • Prolungare il più possibile la vita degli oggetti di plastica, ad esempio dei flaconi, delle bottiglie, etc.;
  • Sostituire la plastica con borracce in metallo, borse di tela, etc..


A livello politico internazionale le soluzioni adottabili possono essere, senza dubbio, l’utilizzo della strategia “Zero Waste” e la conversione del sistema economico da lineare a circolare.

Sicuramente, queste non sono azioni che portano alla totale risoluzione della problematica delle Garbage Patches ed, in generale, della plastica in mari e oceani; sono però un ottimo punto di partenza per non aggravare la situazione già critica. Ad oggi, fortunatamente, la consapevolezza sui problemi ambientali si sta diffondendo sempre di più e le istituzioni che dovrebbero legiferare in materia sembrano prenderne atto, anche se la strada per un “mondo più pulito” è ancora molto lunga.


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Giulia Gaslini
Written by Giulia Gaslini