
Nell’ambito dell’economia circolare, rimodellare i sistemi agroalimentari, gestendo i rifiuti organici che ne derivano, risulta una sfida cruciale.
In questo articolo ci soffermeremo sull’analisi della filiera dell’olio d’oliva, un prodotto fondamentale nella dieta mediterranea.
UN QUADRO GENERALE…
L’Unione Europea è il più grande produttore, consumatore ed esportatore mondiale di olio d’oliva.
Spagna (prima in assoluto per quantità prodotta (42%), Italia (17%) e Grecia (11%) occupano circa il 70% della produzione olearia globale (Donner M. et al., 2022).
Il Consiglio oleicolo internazionale (2018) stima una produzione media di circa 16 milioni di tonnellate di olive e oltre 3 milioni di tonnellate di olio d’oliva, all’anno. Queste cifre riflettono una domanda crescente a livello globale guidata principalmente dai cambiamenti nei modelli alimentari e da una crescente attenzione alla dieta mediterranea.
Nonostante l’indiscussa importanza economica e nutrizionale dell’olio di oliva, ciò di cui non tutti sono a conoscenza è che l’industria olearia provoca diversi impatti ambientali in termini di esaurimento delle risorse, degrado del suolo, emissioni atmosferiche ma soprattutto produzione di rifiuti, ed è proprio su quest’ultimo aspetto che ci si concentrerà in questo articolo.
QUANTI E QUALI SCARTI SI OTTENGONO DALL’OLIO D’OLIVA?
Dal processo di estrazione dell’ olio di oliva vengono generati: l’olio (20%), scarti solidi umidi (30%) e acque reflue di frantoio (50%). Considerando i soli paesi europei, si stima una media annua di 9,6 milioni di tonnellate di scarti solidi di frantoio, derivanti esclusivamente dal processo di molitura, e 1,5 m3 di acque reflue di frantoio (Abu Tayeh H. et al., 2020). I flussi di scarto derivanti dalla fase di molitura sono particolarmente problematici da gestire essendo prodotti in grandi quantità su base stagionale e in un periodo di tempo breve (da ottobre a gennaio).
Gli scarti solidi aumentano se si considerano le fasi a monte del processo di estrazione dell’olio. A partire dalla coltivazione degli oliveti, infatti, sono generati residui di potatura degli alberi come legno, rami e foglie di olivo (circa 25 kg di biomassa per albero).
I principali residui dell’industria olearia, quindi, sono:
- Rifiuti solidi o semisolidi: il residuo solido (definito anche “sansa”) è ciò che resta dopo la prima spremitura delle olive, si tratta di una miscela di polpa di olive frantumate, pelle, noccioli e acqua residua.
La sansa di olive deve essere smaltita rapidamente per non bloccare l’attività di molitura; è, inoltre, soggetta a una rapida fermentazione e non può essere conservata per lungo tempo.
Tra gli scarti solidi, come detto in precedenza, rientrano anche quelli derivanti dalla coltivazione degli oliveti. Questi ultimi, avendo un basso valore commerciale, vengono spesso bruciati in loco, causando non solo perdita di biomassa a basso contenuto di umidità, ma anche rilasci diretti di CO2 nell’atmosfera. Gli stessi scarti, seppur in forma minore, sono utilizzati per la produzione di energia, per l’alimentazione animale o semplicemente destinati alla discarica.
- Acque reflue di frantoio: un liquido bruno scuro composto per l’83-92% da acqua (vegetativa e di processo) e per la restante parte da sostanza organica (sansa e polpa di olive). Pur contenendo composti importanti come nutrienti, minerali e molecole bioattive, queste acque sono caratterizzate da un alto grado di fitotossicità, da una certa carica inquinante e da bassa biodegradabilità. Per questi motivi l’uso diretto di questo sottoprodotto come fonte d’acqua è limitato e per essere utilizzato richiede un trattamento detossificante.
Nel rispetto della normativa italiana, i frantoi dovrebbero dotarsi di impianti di depurazione in grado di separare le acque recuperate, utilizzabili per scopi irrigui, dai fanghi di depurazione che devono essere opportunamente smaltiti.
PERCORSI DI VALORIZZAZIONE DEGLI SCARTI OLIVICOLI
Molti di questi scarti di frantoio possono essere sfruttati per la produzione di sottoprodotti come combustibili, fertilizzanti o come importanti fonti di componenti bioattivi (come i composti fenolici che possiedono proprietà antimicrobiche, antinfiammatorie e chemiopreventive) utili alla produzione di prodotti intermedi per l’industria alimentare, nutraceutica, cosmetica e farmaceutica.
Per riportare alcuni esempi, la sansa umida può essere sparsa su terreni agricoli come ammendante e fertilizzante, nei limiti di legge di 80 quintali per ettaro e nell’arco di 1 mese dalla produzione;
il legno d’ulivo può essere utilizzato per realizzare prodotti artigianali come cucchiai, ciotole, statuine; infine, i fiori di olivo sono utilizzati per l’estrazione di molecole utilizzate per la cosmesi.
Come previsto dal provvedimento legislativo D.M. 13 ottobre 2016 n. 264, una terza possibile modalità di utilizzo della sansa umida è la produzione di energia. In questo caso, la sansa può essere impiegata per l’alimentazione di centrali a biomasse basate sul processo di combustione, o per impianti basati sul processo di digestione anaerobica. La digestione anaerobica appare sempre più una valida alternativa per il riutilizzo degli scarti agroalimentari, alla luce della recente normativa italiana (Legge n. 51 del 20 maggio 2022), che promuove e disciplina l’utilizzo del digestato (sottoprodotto ottenuto dalla digestione anaerobica) a fini agricoli, in sostituzione dei fertilizzanti chimici.
Insomma, i residui della filiera olearia, soprattutto la sansa di oliva, potrebbero essere considerati una fonte rinnovabile e a basso costo di composti ad alto valore aggiunto.
In conclusione, di fronte alle nuove sfide quantitative e qualitative poste da un mercato in evoluzione, si stanno verificando cambiamenti lungo l’intera filiera dell’olio di oliva, con una maggiore attenzione all’innovazione di prodotto, alla qualità ed all’impatto ambientale.
Nella filiera olearia restano aperte sfide ambientali che necessitano di approcci innovativi per migliorare la sostenibilità del settore, soprattutto se si pensa alla generazione di sottoprodotti e residui che di solito finiscono come rifiuti ma, che, avrebbero un alto potenziale di riutilizzo in diversi settori.
Insomma scarti e sottoprodotti della produzione dell’olio d’oliva non dovrebbero essere considerati solo dal punto di vista della mera gestione o trattamento, ma possono offrire opportunità se opportunamente valorizzati.
È necessario, conoscere ed interpretare bene l’attuale catena di produzione dell’olio di oliva, considerandone i vantaggi ma anche gli ostacoli, per poter esercitare un cambiamento duraturo nel tempo.
Fonti:
Donner M., Radić I., “Innovative Circular Business Models in the Olive Oil Sector for Sustainable Mediterranean Agrifood Systems”, Sustainability 2021, 2588;
Abu Tayeh H., Azaizeh H., Gerchman Y., “Circular economy in olive oil production – Olive mill solid waste to ethanol and heavy metal sorbent using microwave pretreatment”, Waste Management, Vol. 113, 15 July 2020, Pag. 321-328
Donner M., El Hadad-Gauthier F., Erraach Y., López-i-Gelats F., Manuel-i-Martin J., Yatribi T., Radić I., “Circular bioeconomy for olive oil waste and by-product valorisation: Actors’ strategies and conditions in the Mediterranean area”, Journal of Environmental Management, Vol. 321, 1 November 2022, 115836;
Stempfle S, Roselli L., Carlucci D., Leone A., De Gennaro B., Giannoccaro G., “Toward the circular economy into the olive oil supply chain: A case study analysis of a vertically integrated firm”, Frontiers in Sustainable Food System, 09 December 2022, Vol. 6;
Biotti G., Budriesi R., Clodoveo M., Corbo F., Curci F., Franchini C., Mallamaci R., Micucci M., Muraglia M., Ragusa A., “Olive Tree in Circular Economy as a Source of Secondary Metabolites Active for Human and Animal Health Beyond Oxidative Stress and Inflammation”, Molecules 2021
Leave a Comment