
Immagine “Riprogettare una moda circolare” courtesy of https://ellenmacarthurfoundation.org/fashion-and-the-circular-economy-deep-dive
L’industria tessile convenzionale è stata costruita sull’idea sbagliata che le risorse siano illimitate. Questo modello lineare del produrre, usare e scartare rapidamente comporta implicazioni economiche, sociali ed ambientali che non possono essere trascurate.
Si stima che più di due terzi dei tessuti prodotti finisce in discarica al termine del loro utilizzo e che solo il 15% viene riciclato.
Offrire un’alternativa sostenibile in grado di raggiungere tutti i consumatori deve, quindi, diventare l’imperativo di un settore in così rapida espansione.
Ma che aspetto ha un’industria della moda più sostenibile? E come ci stiamo muovendo?
INDUSTRIA TESSILE: A CHE PUNTO SIAMO?
Negli ultimi vent’anni l’industria della moda ha raddoppiato la sua produzione e con essa è raddoppiato anche il consumo medio annuo globale di tessili, da 7 a 13 kg pro-capite, raggiungendo la soglia dei 100 milioni di tonnellate di consumo di tessili (Motamed B. et al., 2020).
I nordamericani sono i maggiori utilizzatori di tessuti al mondo con una media di 37 kg per utente ogni anno, seguiti da Australia (27 kg), Europa occidentale (22 kg) e dai paesi in via di sviluppo come Africa, India e Asia meridionale con 5 kg ciascuno (Milburn, 2016).
Si stima che il valore dell’industria globale della moda sia di 3000 miliardi di dollari, oltre il 2% del prodotto interno lordo (PIL) mondiale (https://fashionunited.com/global-fashion-industry-statistics).
La Cina è il più grande esportatore mondiale di prodotti tessili e di abbigliamento mentre l’UE è il più grande importatore di questi beni (https://fashionunited.com/global-fashion-industry-statistics).
Dati alla mano, è evidente che le aziende produttrici dovranno essere in grado di offrire un’alternativa sostenibile. La sostenibilità deve diventare, quindi, l’imperativo di un settore in così rapida espansione.
MATERIA PRIMA –> USO –> SCARTO –> RIUSO (moda circolare)
Secondo il rapporto annuale del Gruppo Lenzing (Lenzing, 2017), il 63% delle fibre tessili sono fibre sintetiche e polimeri derivati da fonti fossili come nylon, acrilico, poliestere e polipropilene, la cui produzione e destino danno origine ad una considerevole emissione di anidride carbonica (CO₂) (Echeverria et al., 2019). Il restante 37% è occupato dal cotone che, nonostante la sua origine naturale, è generato con processi ad alto impatto ambientale.
Se prendiamo in considerazione l’origine delle materie prime, la durata nel tempo ed il potenziale di riduzione di rifiuti nell’industria della moda, sono stati individuati alcuni materiali promettenti come:
Bambù: materiale ipoallergenico, assorbente e a crescita rapida. La lavorazione del bambù utilizza meno pesticidi e fertilizzanti.
Seta: materiale morbido, resistente e con una elevata durabilità. Il processo di produzione non richiede coloranti tossici.
Canapa: rappresenta un materiale facile da coltivare e con buona qualità per varie applicazioni.
Nonostante i numerosi studi, resta attuale il problema rifiuti.
Si stima che più di due terzi dei tessuti prodotti finisce in discarica al termine del loro utilizzo e che solo il 15% viene riciclato.
Gli scarti tessili possono essere classificati in (Echeverria et al., 2019):
- rifiuti industriali: noti anche come rifiuti pre-consumo. Sono i rifiuti generati dal processo di produzione che diventano fonte di materie prime secondarie che non vengono utilizzate, ma che possono essere re-immesse nel mercato.
- rifiuti post-consumo: sono i residui scartati dopo il loro ciclo di vita, derivati da tessuti, borse, biancheria, tappeti, tende, ma anche imballaggi, uniformi, tessuti industriali e da costruzione.
L’interesse dell’industria tessile per il riutilizzo ed il riciclo sta aumentando rapidamente.
Di seguito sono riportati alcuni esempi di applicazione di tessuti riciclati in vari settori e prodotti (Ellen MacArthur Foundation, EM, 2017):
- Industria edile e settore delle costruzioni: i tessuti riciclati e gli scarti dei tessuti possono essere reimpiegati come materiali di isolamento termico ed acustico (Ahmad et al., 2016).
- Rifiuti tessili per le applicazioni ambientali: i rifiuti derivati dalla produzione del cotone possono trovare un’importante applicazione nel trattamento delle acque (Shirvanimoghaddam et al., 2019a; Shirvanimoghaddam et al., 2019b).
- Industria della carta: i rifiuti tessili e il denim riciclato possono essere re-impiegati per la produzione di carta (Travers, 2017);
- Industria automobilistica: i rifiuti tessili riciclati possono generare un isolante acustico e termico per i rivestimenti dei sedili automobilistici (Bhatia et al., 2014).
- Industria agricola: i rifiuti tessili possono fornire uno strato per coprire la superficie di coltivazione, per consentire una maggiore raccolta di acqua dall’umidità dell’aria e promuovere la vita microbica (Eriksson, 2017).
ALCUNI ESEMPI PRATICI DI INNOVAZIONE SOSTENIBILE NELL’INDUSTRIA TESSILE…
Colorifix: nasce nel 2016 nel Regno Unito. Si tratta di un’impresa la cui missione è quella di garantire la riduzione dell’impatto ambientale nel campo della tintura industriale, “sostituendo la chimica con la biologia in ogni fase del processo, dalla creazione dei coloranti alla loro fissazione nei tessuti”.
I coloranti impiegati nell’industria tessile, infatti, rappresentano uno dei principali problemi in termini ambientali che il settore si trova ad affrontare.
Colorifix ha brevettato queste tinture ecocompatibili, utilizzando la tecnica di sequenziamento del DNA, grazie alla quale è possibile individuare i geni che consentono la produzione di un pigmento prodotto da un organismo (animale, pianta, insetto, microbo) per poi tradurre e copiare quel codice del DNA in un nuovo microrganismo. “Il microrganismo ingegnerizzato che ne risulta può quindi produrre il pigmento proprio come viene prodotto in natura”.
I coloranti, inoltre, vengono coltivati in loco con materie prime rinnovabili come zucchero, lievito e sottoprodotti vegetali. Attraverso il processo di fermentazione, i microrganismi crescono e sono in grado di produrre una grande quantità di liquido colorante in soli uno o due giorni. Il liquido prodotto può essere inserito direttamente nelle macchine per tintura standard, senza richiedere attrezzature specialistiche aggiuntive o sostanze chimiche tossiche (www.colorifix.com).
EarthColors: è il metodo brevettato da Archroma per creare coloranti, dalle tonalità calde, ispirandosi alla natura. Si tratta di coloranti biosintetici ad alte prestazioni, sintetizzati da rifiuti non commestibili e scarti dell’agricoltura. La materia prima proviene, infatti, da residui vegetali di cotone, gusci di mandorle, residui dell’estrazione del pompelmo e dell’arancia e residui ottenuti dopo l’estrazione dello zucchero dalla barbabietola.
Ma c’è un’altra novità altrettanto importante, si tratta della tracciabilità: “questi coloranti, infatti, sono completamente tracciabili a partire dal materiale di scarto impiegato fino al punto vendita. Le informazioni sulla tracciabilità saranno disponibili su cartellini intelligenti attaccati a ciascun capo di abbigliamento” (www.archroma.com).
Dell’Orco&Villani: è un chiaro esempio di un’Italia in cambiamento. Si tratta di un’azienda che si occupa di costruzione di macchine per il recupero di scarti tessili. “Gli impianti trattano i materiali di scarto dell’industria tessile per ricavarne materie da reintrodurre nel processo produttivo […]”. Con Next Technology hanno brevettato un procedimento in grado di rimuovere gli elastomeri da tessuti elasticizzati come nylon, cotone e lana, rendendo queste fibre nuovamente utilizzabili nei rispettivi cicli di rigenerazione (Symbola, 2018).
OBIETTIVO: SOSTENIBILITÁ A 360°
Quindi, che aspetto ha un’industria tessile sostenibile? E come ci arriviamo?
Come evidenziato precedentemente nel testo, alcune delle azioni chiave per un’industria tessile sostenibile riguardano la sostituzione degli input utilizzati in fase di produzione come la sostituzione di coloranti chimici con coloranti naturali; lo sviluppo di sistemi di trattamento delle acque reflue in loco, il riciclo e riutilizzo dell’acqua; il risparmio energetico in fase di fabbricazione; l’uso di processi biochimici sicuri, di biopolimeri e biomasse come nuovi materiali.
Oltre all’aspetto ambientale, l’industria della moda gioca un ruolo chiave nell’aspetto sociale ed economico di alcuni paesi. Si tratta perlopiù di paesi che vedono molto da lontano il concetto di sostenibilità.
Ogni anno, a partire dal 2013, il 24 di aprile si ricorda il crollo della fabbrica Rana Plaza, in Bangladesh, passato alla storia come la tragedia della sovrapproduzione. Sono in molti a sostenere che sia stata proprio la tragedia del Rana Plaza a portare alla luce il disastro ambientale e sociale che l’industria tessile ha generato per anni a scapito di alcuni paesi, ed è proprio questa tragedia che ha dato il via all’inversione di rotta dell’industria tessile.
La sostenibilità, infatti, non si mostra soltanto nel rispetto dell’ambiente, ma deve essere intesa a 360°, considerando la tutela dei lavoratori e la trasparenza della filiera che porta alla realizzazione di un oggetto, come parti necessarie e fondamentali di un processo sostenibile (www.theblackbag.org).
FONTI:
Motamed B., Naebe M., Ramakrishna S., Shirvanimoghaddam K., 2020, “Death by waste: Fashion and textile circular economy case”, Science of The Total Environment, Vol. 718, 20 May 2020
www.ellenmacarthurfoundation.org
https://fashionunited.com/global-fashion-industry-statistics
www.colorifix.com
www.archroma.com
www.dellorco-villani.it
www.theblackbag.org
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