Trattamento biologico dalle acque di scarico ai rifiuti urbani
Novembre 17, 2023 Gestione rifiuti Nessun commento

In questo articolo parleremo del trattamento biologico come strumento di depurazione di acque reflue e rifiuti solidi, di origine urbana e industriale, concentrandoci sul funzionamento degli impianti e dei processi.

Una grande varietà di sostanze inquinanti presenti nelle acque di scarto e nei rifiuti, sia domestici che industriali, viene degradata per via biologica.

L’obiettivo principale degli impianti di trattamento biologico è l’eliminazione di sostanze come composti organici, forme di azoto e di fosforo ma risulta spesso inefficace nel caso di metalli e non metalli, per i quali si ricorre ad altri tipi di processi (chimico-fisici).

Trattamento biologico delle acque: impianti a fanghi attivi


Il trattamento biologico delle acque di scarico consiste nell’azione combinata di comunità microbiche e sostanze di scarto utilizzate dagli stessi microrganismi per il proprio metabolismo, dando vita a nuovi microrganismi che andranno a costituire i fanghi in uscita dagli impianti.

I processi biologici possono avvenire in presenza o in assenza di ossigeno (fermentazione).

Su una matrice come l’acqua è necessario, in primo luogo, effettuare una caratterizzazione biologica dei suoi componenti per determinare il potenziale carico inquinante (attraverso l’analisi di parametri come: COD, BOD, TOD e TOC), individuare eventuali sostanze pericolose per la salute e selezionare il processo di trattamento più adeguato.

Tra i processi biologici per il trattamento delle acque quello “a fanghi attivi” rappresenta, oggi, il sistema di trattamento più diffuso, sia per le acque di scarico urbane che per quelle industriali.

In generale, un impianto di trattamento delle acque di scarico funziona così:

  1. Trattamenti preliminari (meccanici): il liquame in arrivo all’impianto subisce una serie di trattamenti preliminari per eliminare i solidi di dimensioni maggiori (grigliatura, dissabbiatura, disoleazione);

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  1. Sedimentazione primaria: in questa fase i materiali che non sono stati trattenuti dai precedenti trattamenti vengono sottoposti a sedimentazione. Quindi, il materiale trattenuto andrà a costituire i “fanghi primari” che seguiranno una via alternativa, mentre l’acqua o effluente separato continua il processo di depurazione;
  2. Ossidazione biologica: l’acqua è sottoposta ad una fase di reazione biologica in presenza di ossigeno, in appositi bioreattori.
  3. Sedimentazione secondaria: dopo il trattamento biologico, i fanghi prodotti (fanghi di spurgo) vengono separati dall’effluente (analogamente alla sedimentazione primaria); l’effluente, invece, è sottoposto a ulteriore sedimentazione.

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  1. Trattamenti terziari: in quest’ultima fase l’effluente subisce trattamenti di disinfezione, precipitazione e assorbimento utili a migliorarne ulteriormente la qualità. Si ottiene così l’effluente finale, depurato.


I fanghi prodotti nella fase di sedimentazione primaria e secondaria sono sottoposti, dapprima, a stabilizzazione (digestione anaerobica) per ridurne quantità e odori molesti e, successivamente, disidratati per lo smaltimento finale (discarica, incenerimento, spandimento in agricoltura).

Fanti F., Zanichelli

In base ai composti che si vogliono eliminare dalle acque, la pianta degli impianti può cambiare:

  • Un impianto a fanghi attivi tradizionale è costituito da un bacino di areazione e da un sedimentatore secondario. Questo tipo di impianto è impiegato prevalentemente per la rimozione di carbonio organico.
  • Quando, invece, l’obiettivo è la rimozione dei nitrati dalle acque, all’impianto di tipo tradizionale si aggiunge un reattore anossico (in assenza di ossigeno). In questo caso, il processo inizia con l’areazione (bacino di areazione) dove si forma il nitrato che, attraverso una corrente di ricircolo viene direzionato al reattore anossico, dove avviene il processo di denitrificazione (perdita di ossigeno del nitrato).
  • Se l’obiettivo dell’impianto è la rimozione di fosforo all’impianto si aggiunge un ulteriore bioreattore anaerobico (in assenza di ossigeno) dove si svilupperanno specie batteriche polifosfatiche capaci di rimuovere il fosfato presente nelle acque per appropriarsi del carbonio organico.

Insomma, lo scopo del sistema di trattamento meccanico-biologico è quello di rimuovere le sostanze in forma solida e di convertire quelle solubili in biomassa da smaltire a parte.

Trattamento biologico dei rifiuti solidi: sistemi aperti e sistemi chiusi


Quando si parla di trattamento dei residui solidi è importante definire i concetti di “compostaggio” e di “biostabilizzazione”.

Se nel primo caso l’obiettivo del processo, oltre l’abbattimento della carica microbica, è quello di generare un materiale stabile e finalizzato ad altri impieghi (es. ammendante), nel caso della biostabilizzazione il processo non è mirato tanto al trattamento di matrici organiche quanto allo sfruttamento del metabolismo microbico per abbattere la fermentescibilità dei materiali di partenza, quindi di ridurre il grado di tossicità iniziale. In quest’ultimo caso, una volta terminato il processo, le matrici saranno destinate alla discarica. Quindi la biostabilizzazione rappresenta una preparazione allo smaltimento in discarica.

Nel caso del trattamento biologico dei rifiuti solidi possono essere impiegate diverse tecnologie ma due sono le categorie impiantistiche generali:

  1. Sistemi aperti: le matrici avviate al compostaggio non sono confinate in contenitori. Un esempio di sistemi aperti sono i sistemi a cumuli rivoltati o a cumuli statici ad areazione forzata.
  2. Sistemi chiusi: i rifiuti organici sono immessi in bioreattori (vasche aperte o contenitori chiusi). Gli esempi più diffusi di sistemi chiusi sono i bioreattori a cilindri rotanti, i silos, le biocelle e le trincee dinamiche areate.

Il trattamento meccanico-biologico, anche in questo caso, è costituito da diverse fasi:

  • Trattamento meccanico del rifiuto indifferenziato: vengono separate le frazioni merceologiche  del rifiuto (frazione secco-leggera e frazione umida) da avviare ai successivi sistemi di trattamento e/o valorizzazione;
  • Trattamento biologico della frazione umida, il cui scopo è la stabilizzazione delle componenti organiche degradabili;
  • Trattamento della frazione secco-leggera attraverso il recupero, il riuso o la valorizzazione energetica.


Da una parte smaltire in discarica un materiale organico stabilizzato biologicamente, che non possiede i requisiti per l’impiego in agricoltura, riduce in maniera sensibile la produzione di biogas e contribuisce a migliorare le caratteristiche del percolato e ciò si ripercuote positivamente sulla gestione complessiva della discarica. Dall’altra parte nel caso dei rifiuti industriali contenenti sostanze tossiche, l’eventuale abbattimento delle stesse a seguito dei processi biodegradativi durante il compostaggio, può consentire lo smaltimento di tali residui in discariche per rifiuti non pericolosi, con evidente risparmio economico sui costi di conferimento.

Il trattamento delle acque di vegetazione derivanti dell’estrazione dell’olio di oliva, dei reflui conciari contenenti tannini, il trattamento di morchie di raffineria sono solo alcuni degli esempi virtuosi che confermano l’efficacia e l’applicabilità dei trattamenti biologici su diversi tipi di matrici.


Fonti:
Barbieri P., Bestetti G., Galli E., Zannoni D., 2012, Microbiologia ambientale ed elementi di ecologia microbica, Casa Editrice Ambrosiana, cap. 11-13, 2012
Fanti F., Biologia, microbiologia e tecnologie di controllo ambientale, Zanichelli 2020


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Maria Francesca Di Blasio
Written by Maria Francesca Di Blasio